Cardiac Rehabilitation Program
Fino ad alcuni anni fa i programmi riabilitativi, aveva-no l'obiettivo primario di migliorare la capacità funzionale, dopo il prolungato periodo di riposo assoluto a letto che veniva prescritto in modo sistematico nei pazienti reduci da un episodio infartuale del miocardio.Più di recente so-no stati acquisiti dati sul ruolo benèfico dell'attività fisica sulla favorevole modificazione dei fattori di rischio cardio-vascolare.I benèfìci dell'attività fisica sono stati rilevati sia nei soggetti sani che nei cardiopatici. In particolare sono ormai numerose le evidenze che hanno dimostrato che la riabilitazione cardiaca omnicomprensiva,di cui il trai-ning fisico supervisionato è una componente importan-te,svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione se-condaria della cardiopatia ischemica, in quanto migliora in maniera significativa non solo la capacità funzionale, ma anche la prognosi a lungo termine. Inoltre è stata di-mostrata una relazione lineare tra la quantità di attività fi-sica praticata e il benessere che ne deriva. Attualmente un numero sempre maggiore di pazienti con malattie car-diovascolari fruisce di programmi di riabilitazione cardio-logica.
Quali sono le indicazioni attuali
alla riabilitazione cardiologica?
1. CARDIOPATIA ISCHEMICA:
2. POST-CHIRURGIA VALVOLARE
4. ARTERIOPATIE OBLITERANTI DEGLI ARTI
INFERIORI
5. SCOMPENSO CARDIACO
CRONICO STABILE
6. PRE E POST-TRAPIANTO CARDIACO.
Cardiopatia ischemica:
Per rendere l’intervento riabilitativo sicuro ed efficace,ma anche per favorirne la compliance,è necessario conosce-re lo stato di rischio del paziente.
Lo stato di rischio di ogni singolo paziente, si avvale della conoscenza di alcuni parametri:
.l' estensione dell'ischemia miocardica,
.la funzione del ventricolo sinistro,
.il decorso clinico durante il ricovero ospedaliero,
.il risultato del test da sforzo massimale (o limitato dai sintomi).
Sulla base di questi parametri è possibile stratificare i pa-zienti in 3 categorie di rischio:
1. basso,
2. intermedio,
3. elevato.
1) I pazienti a rischio basso sono:
.con decorso clinico ospedaliero non complicato;
.senza di ischemia miocardia;
.con capacità funzionale
maggiore di 7 METs *;
.con
funzione ventricolare sinistra normale (frazio-ne d'eiezione > 50%) e senza aritmie extrasistoliche ventricolari importanti;
2) I pazienti a rischio intermedio sono:
.con sottoslivellamento del tratto ST ≥ 2 mm;
.con difetto reversibile
della captazione del tallio al-la scintigrafia miocardia;
.con funzione
ventricolare sinistra moderata-buona (frazione di eiezione 35- 49%);
3) I pazienti a rischio elevato
sono:
.con pregresso infarto
che ha coinvolto il 35% o più del ventricolo sinistro;
.con funzione
ventricolare sinistra < 35%;
.con decremento della
pressione sistolica o addirit- tura con il suo mancato incremento durante un test da sforzo;
.con angina persistente
o ricorrente;
.con capacità funzionale
< 5 METs e con risposta pressoria ipotensiva o con sottoslivellamento del tratto S-T > 1 mm, al test da sforzo;
.con episodio di
scompenso cardiaco durante il ri- covero ospedaliero;
.con sottoslivellamento
del tratto S-T di 2 mm a ca-rico medio-basso;
.con aritmie
extrasistoliche ventricolari minacciose.
*I valori energetici delle diverse attività fisiche pos- sono essere espresse in MET(Equivalenti Metabolici, plurale METs). Il MET è il consumo di ossigeno in un minuto; in condizioni di riposo il MET è pari a 3,5 ml di ossigeno consumato per Kg di peso corporeo per minuto. Nella pratica il MET,viene utilizzato in alcune attrezzature cardio-fitness, per indicare il costo me-tabolico di un determinato esercizio. Ad esempio:il costo metabolico di un esercizio con un consumo di ossigeno (VO2) pari a 28 ml O2/Kg è di circa 8 METS (28 ml O2/kg: 3,5 ml di O2 = 8).
===========================================
Quali programmi utilizzare?
Sulla base della conoscenza della storia clinica, dei ri-sultati degli esami di laboratorio e strumentali,della capa-
cità funzionale e sulla base delle condizioni di rischio del paziente (basso,intermedio e alto) e anche delle aspetta-tive personali, è possibile prescrivere uno dei seguenti programmi riabilitativi che comprende anche un piano di esercizi fisici:
1. degenziale (della durata di 20-25 giorni);
2. ambulatoriale (della durata di
28 giorni, con 3 sedute settimanali);
3. misto (della durata di 35 giorni) di cui:
.14 giorni in regime di degenza (al termine bisogna effettuare un test da sforzo in terapia);
.21 giorni in regime ambulatoriale (al termine bisogna effettuare un test da sforzo in wash-out farmacolo- gico);
4.personalizzato (di durata variabile nei casi complicati).
L’intero programma riabilitativo deve essere suddivi-so in 3 fasi:
1.fase post-acuta, le cui finalità sono la mobilizzazio-ne precoce, la valutazione e il ricondizionamento muscolare.La sede è come ovvio ospedaliera; l'at-tività deve comprendere una fase:
a) passiva,
b) attiva;
2.fase di allenamento: le finalità sono l'allenamento intensivo e la valutazione della capacità funzionale;
3.fase di mantenimento (follow-up).
.rilievi anamnestici;il cardiologo comincia la visita spe cialistica con l'anamnesi del soggetto: la sua storia cli-nica passata e la situazione attuale,la presenza di malat-tie familiari e l’osservanza di determinate terapie farma-cologiche;
.rilievi anamnestici; il cardiologo comincia la visita spe- cialistica con l'anamnesi del paziente: la sua storia clinica passata e la situazione attuale, la presenza di malattie familiari e l’osservanza di determinate terapie farmacolo-che;
.dopo l’anamnesi, la visita cardiologica prosegue con la misurazione dei parametri,quali pressione arteriosa e fre-quenza cardiaca e con il controllo di eventuali edemi, della dimensione del fegato e della distensione delle ve-ne giugulari;.esame obiettivo generale;
.esami ematochimici di
routine + enzimi cardiaci,
.lipidogramma e test di funzionalità tiroidea;
.ECG basale;
.Rx torace, in particolare nei pazienti reduci da un inter-vento cardiochirurgico;
.ECG dinamico secondo Holter;
. mono bidimensionale con eco-color-doppler,da effet-tuare al termine della prima fase per i casi studiati presso l’Ospedale di provenienza.
In questa fase possono comparire rilievi soggettivi (sinto- mi) e obiettivi (segni) che controindicano la riabilitazione.
Le controindicazioni vengono classificate in contro-indicazioni:
1) assolute;
2) relative o temporanee;
3)condizioni che anche se non controindicano la ria- bilitazione, richiedono una particolare attenzione du- rante l’attività.
1) Le controindicazioni assolute comprendono:
2)Le controindicazioni relative o temporanee com-prendono:
3)Le condizioni che richiedono una particolare atten- zione comprendono:
Per coloro che effettuano il programma riabilitativo in regime degenziale:
In reparto:
.visita medica giornaliera;
.attività fisica libera, evitando:
-l'esposizione a stimoli fisici intensi (ambienti troppo fred-di o troppo caldi e umidi);
-stress emozionali;
-esercizi troppo faticosi come salire velocemente più rampe di scale.
In palestra:
.l’esercizio fisico rientra nel concetto di trattamento pre-ventivo e riabilitativo.Gli esercizi aiutano a raggiungere in tempi brevi la stabilizzazione fisica e psichica del pazien-te.
Ovviamente l’attività fisica deve essere praticata sotto la guida ed il controllo diretto da parte del personale medi-co e paramedico;oltre alla monitorizzazione continua dell' elettrocardiogramma, durante le sedute viene rilevata la Frequenza Cardiaca (FC),la Pressione Arteriosa (PA),la sa-turazione di O2.Lo stato clinico del paziente deve es-sere attentamente valutato basalmente, nel corso dell'al-lenamento ed al termine della seduta.
DURATA, FREQUENZA E INTENSITA' DEGLI ESER- CIZI:
1° e 2° giorno:
.ginnastica respiratoria: 5 minuti;
.ginnastica calestenica con esercizi fisici al tappeto ed in piedi di 1° livello: 10 min;
.cyclette senza carico: 10 minuti;
.fase di raffreddamento: 5 minuti con esercizi di defati-camento e rilassamento;
.ginnastica respiratoria.
Dal 3° all’8°-10° giorno:
.ginnastica
respiratoria: 5 minuti;
.ginnastica calestenica
con esercizi fisici al tap-peto rotante per 10 minuti circa;
.cyclette con carico di
25 watt per 20 min op-pure tappeto rotante alla velocità di 2,7 km/h con pendenza 0%;
.fase di raffreddamento:
5-10 minuti (esercizi di defaticamento e rilassamento;
.ginnastica respiratoria).
La durata, la frequenza e l'intensità degli esercizi devono essere prescritte a seconda della capacità funzionale del paziente,nel senso che nei soggetti con bassa capacità funzionale viene preferita una seduta con esercizi di maggiore durata e di bassa intensità (vedi figura:proto-colli di esercizi).
L'esercizio può essere di tipo continuo e di tipo in- termittente (interval-training).
Al termine della 1° fase viene effettuato un test da sforzo al cicloergometro o al tappeto rotante; il test usualmente viene eseguito in mantenimento della terapia farmaco-logica in corso; sono eleggibili al test da sforzo tutti i pa-zienti che hanno superato la 1° fase senza incorrere in complicanze di rilievo.Invece i pazienti, con complicanze insorte durante la 1°fase,devono sospendere tempora-neamente il trattamento riabilitativo e rientrare nel repar-to di cardiologia per accertamenti e le cure del caso.
Per ottenere gli effetti cardiovascolari desiderati,il pazien-te deve effettuare esercizi per un tempo adeguato ai fini di stimolare la produzione di energia in prevalenza attra- verso la via aerobica. Per ogni step è necessario che l'e-sercizio duri non meno di 2 min per ottenere l'adattamen-to aerobico.
Le sedute di esercizi fisici nella seconda fase hanno una durata di circa 1 ora e comprendono:
.Esercizi al cicloergometro.
Il cicloergometro permette di simulare la pedalata sulla bicicletta; la posizione seduta sulla cyclette determina un notevole scarico del peso corporeo,mentre durante l' esercizio in posizione eretta il peso grava totalmente sul-le articolazioni delle anche, delle ginocchia, delle caviglie e dei piedi. Per queste caratteristiche il cicloergometro è uno strumento assai utile per lo svolgimento di un’attività aerobica sicura e efficace.L'esercizio al cicloergometro consente un'escursione articolare delle cosce e delle gambe abbastanza ampia, mentre è modesta quella dei piedi; nei confronti con l' esercizio al tapis roulant manca il movimento di flessione plantare.Con gli esercizi al ci-cloergometro le capacità coordinative di orientamento spaziotemporale e di equilibrio rispetto ad un allenamen-to sul tapis roulant, vengono influenzate in maniera mo-desta.L'attività al cicloergometro non presenta controin-dicazioni purchè venga assunta una posizione corretta. (vedi da G. Borrello in "Pratica Riabilitativa in Medici-na Interna, Minerva Medica,To 1987).
Nell'ambito fitness, l'allenamento al cicloergometro, il po-dismo, lo sci di fondo, il triathlon sono attività di tipo aero-bico.
.Esercizi al tapis roulant.
Il tapis roulant è il mezzo più comunemente usato nei centri di riabilitazione e adesso anche per le attività ria-bilitative a domicilio.Il tapis roulant,noto dal 1800 per es-sere usato sui detenuti nelle carceri,fu introdotto medical-mente nel 1952 dal Prof Robert Bruce. Egli ha ideato il protocollo che porta il suo nome(protocollo di Bruce),che è diffusamente utilizzato per il test da sforzo su pazienti cardiopatici.L'esercizio al tapis roulant è particolarmente indicato nei pazienti che non sopportano la compressio-ne del sellino del cicloergometro sull'inguine per eventua-li problemi alla prostata o sulla regione anale per la pre-senza di emorroidi sintomatiche.
Anche con questo mezzo sono necessari 20-40 min di attività, con carico di lavoro incrementale fino a quando non venga raggiunta la frequenza allenante, calcolata sulla base del risultato del test da sforzo e che viene mantenuta per tutta la durata della seduta;
.esercizio mediante cammino in piano per 300 metri circa + salita di 2 rampe di scale;
.alla fine dell' esercizio è necessaria una fase di raf- freddamento della durata di 5-10 minuti (l'esercizio deve essere preceduto sempre da una fase di riscaldamento della durata di 5-10 minuti a basso carico lavorativo).
Numerosi cardiopatici non possiedono una forza musco-lare tale da consentire loro di svolgere le comuni attività della vita quotidiana. Si rende per questo necessario in-tegrare il trattamento riabilitativo con esercizi di sollecita-zione alla forza di moderata intensità.
Gli esercizi di sollecitazione alla forza con l'impiego di elastici, di pesi, piegamenti con appoggio al muro o alla spalliera, possono essere iniziati dopo 2-3 settimane dopo un episodio infartuale. La prescrizione di esercizi di sollecitazione alla forza deve essere personalizzata, tenendo conto della funzione del ventricolo sinistro, di eventuali comorbilità, di problematiche neurologiche o ortopediche.In ogni caso all'inizio i pesi devono essere di 0,5-1 kg. Il programma deve prevedere 8-10 esercizi da ripetere 10-15 volte e per 2-3 volte alla settimana. Il peso delle manopole può essere aumentato di 0,5-1 kg ogni 2-3 settimane. Per l'impiego di barre o di attrezzi devono passare almeno 4-6 settimane.
Le linee guida raccomandano l'inclusione di esercizi di sollecitazione alla forza nei programmi di attività fisica per soggetti sani di ogni età e per molti pazienti con pato- logie croniche comprese le malattie cardiovascolari. In sintesi per migliorare le prestazioni cardiovascolari nei programmi di riabilitazione viene prescritta un' attività di tipo aerobico (Endurance exercise), mentre per migliora- re la forza muscolare devono essere prescritti esercizi di allenamento alla forza (Resistance exercise). Sia l'alle- namento aerobico che l'allenamento alla forza sono in grado di determinare una serie di effetti favorevoli,di cui alcuni sono in comune ed altri sono del tutto peculiari. L' allenamento aerobico è più efficace per migliorare il mas-simo consumo di O2 e le variabili emodimaniche ad esso correlate ed inoltre per modificare i fattori di rischio coro-narico. L'allenamento alla forza sviluppa maggiormente la massa e la forza muscolare;fa aumentare il metabo-lismo basale;favorisce l'autonomia funzionale e aiuta a prevenire le cadute in particolare nel paziente anziano. Questa attività che coinvolge sia la parte superiore che quella inferiore del corpo,risulta particolarmente utile nel paziente anziano,debilitato.Con meccanismi diversi, tutte e due i tipi di attività fisica migliorano la densità ossea,la tolleranza al glucosio e la sensibilità all'insulina. Per il controllo del peso corporeo sono utili sia l'esercizio aero-bico che induce un aumento del consumo di calorie, sia l'esercizio isometrico, che comporta un maggiore consu-mo calorico attraverso l'aumento della massa magra e l'aumento del metabolismo basale.
In conclusione gli esercizi di sollecitazione alla forza devono far parte dei programmi di prevenzione cardiaca primaria e secondaria in particolare nei cardiopatici con comorbiltà croniche come l'osteoporosi,lombalgie, obesi-tà,ipotrofia muscolare,diabete,disturbi dell'equilibrio,etc.
Il carburante energetico impiegato per compiere l'allena- mento sono i glucidi e lipidi mediante processi biochimi- ci che sfruttano l'ossigeno. Lo sforzo aerobico richiede pertanto l'ottimizzazione del trasporto e dell'utilizzo di os-sigeno; questo gas viene infatti sfruttato dalle cellule per ossidare i substrati energetici (come glucidi e lipidi e pro-durre ATP.Il metabolismo aerobico rappresenta la princi-pale via di produzione energetica,ma ha il limite di richie-dere circa un paio di minuti per raggiungere la piena at-tivazione;la massima quantità di energia prodotta nell'u-nità di tempo è inoltre limitata (circa 20 Kcal/min). Di con-seguenza,la resistenza aerobica è importantissima se lo sforzo richiesto supera i 2 minuti.
In sintesi l'esercizio aerobico viene denominato comune-mente "endurance o aerobic training",cioè allenamento di durata o aerobico, benchè "endurance" possa essere tradotto anche come "di resistenza", inteso come resi-stenza o durata all'esecuzione dell'esercizio per un tem-po protratto, al contrario degli sforzi anaerobici.
.Stretching è un termine inglese, che significa allunga- mento, stiramento, e viene usato nella pratica sportiva per indicare alcuni esercizi che coinvolgono muscoli, ten- dini, ossa e articolazioni; è una metodica di allenamen- to che è stata divulgata in Europa da Bob Anderson e consiste nell'allungare la muscolatura; la sua pratica co-stante migliora la flessibilità e riduce la tensione musco-lare. In particolare gli esercizi degli arti inferiori e della muscolatura posturale migliorano la stabilità e l’equilibrio durante il cammino.
Per eseguire correttamente lo stretching bisogna:
.praticare 5-10 minuti di riscaldamento, meglio se lo stretching viene praticato alla fine dell’allenamento; alcu- ni autori suggeriscano, per aumentarne l’efficacia, so- prattutto a livello del tessuto connettivo, di eseguire lo stretching a freddo;
.individuare il gruppo
muscolare da allungare;
.coinvolgere i maggiori gruppi muscolari;
.coinvolgere entrambi i lati del corpo;
.eseguire gli esercizi lentamente e dolcemente, evitan- do movimenti
violenti;
.mantenere l' allungamento muscolare per almeno 15/ 20
secondi;
.evitare di allungare i muscoli doloranti;
.non trattenere il respiro durante il mantenimento delle posizioni, ma
respirare lentamente.
Per migliorare l’attività di stretching è importante usare un abbigliamento comodo,che permetta movimenti molto ampi e non venga ostacolata la respirazione; poiché lo stretching solitamente prevede una serie di posture che si eseguono a terra, il pavimento non deve essere fred-do; è bene utilizzare un tappeto in modo che la superficie su cui ci si allunga sia relativamente confortevole.
L’ambiente inoltre non deve essere rumoroso, in quanto non favorirebbe il rilassamento.
COME SI CALCOLA LA FREQUENZA CARDIACA ALLENANTE?
Si parte dalla frequenza cardiaca massima ottenuta dal paziente al test ergometrico massimale; immaginiamo che il paziente abbia raggiunto una frequenza massima o una frequenza limitata dal sintomo di 130 b/min, l'allena-mento deve avere un range tra il 50 % e l' 80%, che cor-risponde ad una frequenza allenante tra 65 e 104 b/min. L'intensità dell' esercizio può essere anche calcolata sulla stima del consumo energetico. Esempio:un uomo di 70 Kg che ha raggiunto 100 watt al test ergometrico (o il IV stadio del test di Bruce al treadmill) ha eseguito un esercizio dal costo in O2 pari a circa 22 ml/Kg/min, corrispondente a 6 METS. L' intensità dell' allenamento può essere calcolata come percentuale dei METS (50%- 80% = 3,0 - 4,8 METS) corrispondenti ad un carico di lavoro al cicloergometro compreso tra 50 Watt e 75 Watt.
Per controllare la propria risposta allo sforzo anche dopo il termine del programma riabilitativo, molto utilizzata, in particolare negli Stati Uniti, è la scala di percezione della fatica di Borg o la scala della dispnea dell' American Col-lege of Sport Medicine.
La scala di Borg è un metodo assai semplice per valu-tare la percezione dello sforzo e può essere utilizzata sia in medicina sportiva che in riabilitazione. Per esempio si può interrompere un test quando il soggetto avverte un determinato sforzo, oppure si può mettere in relazione l'andamento del test da sforzo con il livello di percezione della fatica. Ovviamente all'individuo che deve eseguire un test da sforzo, occorre spiegare i vari punti della scala.Il giudizio dato dal soggetto deve essere il più oggettivo possibile senza sopravvalutare o sottovalutare lo sforzo.
La scala di Borg è in relazione con l’elevazione dei livelli di lattato nel sangue in risposta all’esercizio.Poichè i livel-li di lattato sono correlati ad un maggiore o crescente impiego dei carboidrati durante l’esercizio, un esercizio aerobico ad un’intensità tale da far aumentare la produ-zione di lattato, sarà percepita più faticosa di un’attività aerobica dove il lattato riesce ad essere smaltito più fa-cilmente.
La dispnea è la percezione soggettiva di "respiro diffi-cile", "affanno", "fiato corto","respiro lungo e faticoso", etc ed è fondamentalmente legata a problemi importanti dell' apparato respiratorio o cardiovascolare.
La scala dell'American College of Sport Medicine, per- mette di orientarci per la sua gravità:
1 lieve: avvertita dal paziente ma non rilevata dall'osser-vatore;
2 leggera difficoltà: rilevata anche dall'osservatore;
3 moderata difficoltà: il paziente è in grado di continuare;
4 grave difficoltà: il paziente deve fermarsi.
Se è presente dispnea a riposo, sia se è legata a ma-lattia acuta come un'infezione respiratoria che ad una malattia cronica, non è mai opportuno intraprendere uno sforzo fisico.
La dispnea si caratterizza per una ridotta capacità fun- zionale e comporta col passare del tempo una progres- siva riduzione dell’attività fisica quotidiana, lavorativa, sociale, di relazione.
Numerose evidenze scientifiche hanno mostrato l’effica-cia del training fisico, il quale pur non modificando la fun-zionalità respiratoria di base, né gli scambi gassosi, favo-risce il progressivo miglioramento della percezione della dispnea,che è spesso l’unico risultato ottenibile con il trattamento riabilitativo.
Al termine della 2a fase viene eseguito un secondo Test da sforzo,con le stesse modalità operative del primo test.
Nei casi non complicati da ischemia miocardica residua, eventualmente documentata durante il periodo di osser-vazione, il test da sforzo deve essere effettuato di pre- ferenza in wash-out farmacologico cioè in sospensione della terapia coronaroattiva in atto. Nei casi complicati il test da sforzo deve essere effettuato in mantenimento della terapia in corso.
DI QUALE STRUMENTAZIONE DEVE ESSERE DOTATA UNA STRUTTURA
RIABILITATIVA?
Indipendentemente dal tipo di struttura sono indi- spensabii:
.elettrocardiografo;
.ecocardiografo mono e bidimensionale color Doppler;
.attrezzatura per ECG da sforzo;
.apparecchiatura per monitoraggio elettrocardiografico in telemetria;
.attrezzatura per valutazione dei gas respiratori durante sforzo;
.registratore e lettore per ECG dinamico;
. ergometri per palestra;
. lettini per fisiokinesiterapia;
. spalliere, specchi ed altro materiale per palestra;
.attrezzature per l’emergenza. ausili audiovisivi;
.mezzi audiovisivi
L' ESERCIZIO E' SICURO?
La figura mostra la relazione tra l'intensità dell'e- sercizio fisico,il miglioramento del VO2 max e il ri-schio di eventi cardiovascolari.
L'incremento del VO2 max è tanto più elevato quanto più alta è l'intensità dell'attività fisica.Quando l'intensità supe-pera l'85% della frequenza cardiaca massima,l'incremen-mento del rischio di eventi diviene assai importante.
Secondo Hellestain e Franklin il range dell' intensità otti-male deve essere tra il 70% e l'85% della massima fre-quenza cardiaca e tra il 57% e il 78% del VO2 max.
3° FASE: Programma personalizzato di mantenimento a domicilio e dimissioni.
Questa fase si può riassumere in 4 momenti:
=========================================
Pazienti post-chirurgia.
In questi pazienti è fondamentale una adeguata assi-stenza post-operatoria per ridurre i problemi fisici e psi- cologici che limitano la loro autosufficienza in particolare nei primi giorni. Inoltre è importante contrastare le com- plicazioni precoci e tardive legate all'intervento che com-prendono:
Nei pazienti affetti da diabete mellito, l'intervento spesso favorisce lo squilibrio della condizione metabolica.
Con maggiore frequenza in passato ma ancora adesso per fortuna assai raramente, si può avere epatite virale, per cui è necessario un attento controllo della funzionali-tà epatica e delle transaminasi nei 15-30 giorni successi-vi all'intervento.
VALUTAZIONE FUNZIONALE E PROGNOSTICA.
Le modalità di valutazione sono assai simili a quelle utilizzate per i pazienti reduci da un infarto miocardico.
Un controllo ecocardiografico deve essere effettuato rou-tinariamente dopo la prima settimana. Una registrazione dinamica dell'ECG secondo Holter può essere necessa-ria in caso di aritmie residue di rilevanza clinica ai fini del giudizio sull'effetto delle terapie antiaritmiche, oppure per evidenziare una eventuale ischemia residua non accerta-bile con test da sforzo, perché controindicato o a bassa soglia ischemica; esso consente anche di valutare la du-rata e la numerosità di eventuali episodi ischemici du-rante la vita quotidiana.
Un test da sforzo, eseguibile per lo più intorno alla 20a giornata, completa la valutazione funzionale ai fini di po-ter esprimere un giudizio prognostico a breve termine e dare quindi al paziente più approfonditi consigli circa la ripresa delle attività della vita quotidiana.
In questa fase, il test da sforzo, a causa della presenza di frequenti alterazioni elettrocardiografiche, legate all’ in-tervento, presenta spesso evidenti limiti interpretativi. Pertanto una corretta valutazione Ecocadiografica ed Er-gometrica sono in grado di dare sicure risposte in ter-mini prognostici, solo se sono ripetute a 3-6 mesi dall' in-tervento, quando cioè sono scomparse le anomalie elet-trocardiografiche,la tachicardia di base,i difetti della cine-tica del setto, etc, che sono in relazione all'intervento stesso.
Nei pazienti sottoposti ad interventi di plastica valvolare o di sostituzione valvolare, la valutazione è volta a determi-nare:
.la funzionalità della protesi,
.la funzione ventricolare ed il suo adattamento alla cor-
rezione chirurgica,
.la capacità funzionale.
La valutazione è clinica, ma si avvale della radiologia, dell'ecocardiografia e dell' ergometria. In alcuni casi è necessaria la monitorizzazione dei parametri emodina-mici destri per via cruenta per valutare il comportamento della funzione di pompa durante stress in presenza di u-na evidente compromissione ventricolare.
Anche per questi pazienti la valutazione prognostica do-vrebbe essere eseguita entro 20-30 giorni dall' interven-to,ma una ripetizione più tardiva, quando è stato raggiun-to un buon equilibrio emodinamico, diviene più affidabile, specie dal punto di vista ergometrico,per fare il punto sul-la situazione clinica e funzionale.
Valutazione del rischio di progressione della malattia coronarica.
Dopo by-pass aorto-coronarico la valutazione del rischio di progressione della malattia coronarica va effettuata con le stesse modalità utilizzate in caso di infarto del miocardio.
Valutazione del rischio di cattiva qualità della vita.
Essa è analoga al paziente con recente infarto.
Per quanto riguarda l'educazione sanitaria punti salienti per i pazienti sottoposti a sostituzione valvolare sono la prevenzione delle endocarditi e un corretto uso dei farmaci anticoagulanti.
In un lavoro scientifico del 2015 sono stati presi in con-siderazione 133 pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca e sono stati valutati per il numero di passi percorsi, utiliz-zando un accelerometro triassiale. Un anno dopo l' inter-vento chirurgico, i pazienti hanno completato un sondag-gio postale per determinare il loro stato di salute e la pre-senza di reospedalizzazione. Dei 133 pazienti, ci sono stati 16 casi (12,0%) di re-ospedalizzazione cardiaca durante il periodo di follow-up di 1 anno. Il conteggio medio dei passi prima della dimissione è stata signi-ficativamente inferiore nei 16 pazienti che sono stati re-ospedalizzati per cause cardiache (1.297 ± 1.232 vs 2.620 ± 1.524,p < 0.01). L'analisi di Cox ha rivelato che il più forte predittore di reospedalizzazione cardiaca era un basso numero di passi prima della dimissione (≤ 1.308 passi, hazard ratio: 7,58; 95% intervallo di confidenza: 2,04 - 28,22).
In conclusione nei pazienti il conteggio dei passi sembra essere un fattore di rischio di re-ospedalizzazione entro il primo anno dopo l'intervento cardiaco.Ulteriori studi so-no necessari per chiarire il significato clinico della conta sia prima dell'intervento e dopo la dimissione. Journal of Cardiology, 2015,66,4: 286–291.
Pazienti con insufficienza cardiaca.
Secondo le linee guida per la riabilitazione del Working Group on Cardiac Rehabilitation della Società Europea di Cardiologia le strutture riabilitative che devono accogliere i pazienti con insufficienza cardiaca devono essere dota-te di"Unità di Terapia Subintensiva",trattandosi di pazien-ti "cronicamente e severamente malati". Per la frequente gravità clinica di tali pazienti e per la frequente necessità di ricoveri anche prolungati, è buona norma che essi siano sistemati in camere di degenza ad un letto o al massimo a due letti. Per tutti i pazienti comunque de-ve essere previsto un controllo telemetrico centralizzato dell'ECG ed inoltre per alcuni letti deve essere previsto un controllo centralizzato anche di tipo emodinamico. Se vengono arruolati anche pazienti che necessitino di supporti meccanici come ultrafiltrazione, assistenza re-spiratoria ed altro, è indispensabile che almeno alcuni letti siano controllabili a vista da parte del personale infermieristico. Un Laboratorio di Emodinamica destra è indispensabile per dare un giudizio sul possibile tra-pianto, oltre che per l' introduzione di cateteri in caso di infusione prolungata di farmaci.Un’apparecchiatura eco-cardiografica Color-Doppler deve essere a disposizione del reparto per controlli morfologici ed emodinamici; essa consente ripetizioni frequenti per definire l'efficacia dei diversi approcci terapeutici.
METODOLOGIA ORGANIZZATIVA:
Questi pazienti necessitano di un’assistenza medica mul- tidisciplinare.Il cardiologo sarà il responsabile della gesti- one del paziente,ma dovrà avere la collaborazione di specialisti come:
.il nefrologo per la valutazione della funzione renale e per l'eventuale utilizzo dell' ultrafiltrazione;
.il nutrizionista per una valutazione metabolica dei pazienti e per il monitoraggio nutrizionale in conside-razione che circa il 50 % di questi pazienti sono denutriti;
.l'infettivologo per la prevenzione e la terapia delle infezioni, le quali sono una causa frequente di instabi-lizzazione dello scompenso cronico e per il monitorag- gio dell'ambiente;
.lo psicologo per il controllo dei problemi psicologici;
.lo psichiatra per il completamento del giudizio di tra-piantabilità e per il trattamento specifico di eventuali tur-be psichiatriche, che sono assai frequenti in tali pazienti, i quali vivono una difficile condizione clinica e un incerto futuro quando trattasi di pazienti in lista di trapianto;
.il cardiochirurgo deve valutare la possibilità di interventi alternativi al trapianto come la cardiomioplastica, la ven-tricoloplastica, la rivascolarizzazione, la sostituzione val-volare in considerazione della scarsità di donatori.
VALUTAZIONE FUNZIONALE E PROGNOSTICA.
Il primo obiettivo della fase di riabilitazione intensiva è ottenere la stabilità clinica, solo a questo punto potrà es-sere eseguita la valutazione funzionale e prognostica ai fini di un inserimento nella lista di attesa al trapianto car-diaco ed inoltre per definire con adeguatezza il program-ma riabilitativo e terapeutico.
GIUDIZIO DI STABILITA’ CLINICA:
FATTORI A SIGNIFICATO PROGNOSTICO.
Fattori clinici:
Età-Sesso-Eziologia-Durata della cardiopatia-Stabilità cli-nica-Terzo tono-Tipo di terapia.
Fattori biochimici:
VES,Bilirubinemia,ASPT,Azotemia,Creatininemia, Natre-mia, Potassiemia, Differenza artero-venosa d'ossigeno, Concentrazione plasmatica di norepinefrina, Attività reni-nica plasmatica,Colesterolemia,ANP,Neopterinemia,TNF.
Fattori elettrofisiologici:
Fibrillazione atriale, Disturbi della conduzione intraven-tricolare sinistra, Aritmie ventricolari complesse, Poten-ziali tardivi, Variabilità RR.
Fattori funzionali:
Classe funzionale NYHA, Tolleranza allo sforzo, Massi-mo consumo di ossigeno.
Fattori emodinamici:
Frequenza cardiaca, Pressione arteriosa media,Volumi telesistolici/telediastolici ventricolari sinistri, Rapporto massa/volume ventricolare sinistro, Frazione d’accorcia- mento ecocardiografica ventricolare sinistra, Frazione di eiezione ventricolare sinistra, Indice cardiaco, Pressione sistolica ventricolare sinistra, Pressione di riempimento ventricolare sinistra, Indice di lavoro sistolico ventricolare sinistro,Resistenze vascolari sistemiche, Pressione atria-le destra, Pressione arteriosa polmonare media, Profilo emodinamico (pressione capillare polmonare e indice di lavoro sistolico ventricolare sinistro) da sforzo, Frazione di eiezione ventricolare destra.
Per lo scompenso cardiaco un' importanza determinante assume il rilievo dei parametri emodinamici destri in con-dizioni basali ed eventualmente sotto sforzo. E' racco-mandabile che il test ergometrico, di tipo più graduale, con un protocollo che comprenda la determinazione dei parametri ventilatori per valutare il massimo consumo di ossigeno e/o la soglia anaerobica (test spiro-ergometri-co).Tali parametri sono fondamentali per definire l'urgen-za di un eventuale trapianto cardiaco.
Valutazione del rischio di progressione della coro- naropatia.
Ha un significato più modesto rispetto alle precedenti patologie dato l' avanzamento del quadro clinico.
E' importante la valutazione della qualità della vita.
Fondamentale è il supporto psicologico e l'educazio-ne sanitaria.
Per i pazienti che conservino ancora una discreta auto-nomia è utile una valutazione ergonomica ai fini di una eventuale continuazione dell' attività lavorativa.
In sintesi la Riabilitazione del paziente con scompenso cardiaco ha molteplici obiettivi che si realizzano attra-verso alcuni interventi come:
.verifica della stabilità clinica nelle 2-4 settimane precedenti;
.ricerca delle cause di instabilizzazione clinica;
.ottimizzazione della terapia, la quale deve:
a) contrastare le eventuali cause di instabilizzazione;
b) controllare le manifestazioni cliniche di scompenso con:
.graduale incremento del trattamento per via orale;
.eventuale ricorso a terapie infusive a breve,a lungo termine o in modo intermittente;
.verifica della stabilità clinica con adeguati tempi di osservazione;
.valutazione funzionale e prognostica basata sulla clas-sificazione NYHA e sui alcuni parametri strumentali co-me il rapporto cardiotoracico, i volumi ventricolari, la FE, i rigurgiti valvolari, emodinamica dx, test spiroergometrico, esame Holter, etc;
.valutazione delle indicazioni al trapianto cardiaco su dati emodinamici;
.per la carenza di donatori, in tutti i pazienti va ricercata la possibilità di soluzioni alternative quali:
.rivascolarizzazione miocardica in pazienti con miocardio vitale;
.ventricoloplastica;
.cardiomioplastica;
.sostituzione valvolare;
.defibrillatore automatico impiantabile in pazienti aritmici;
.stimolazione a frequenze emodinamicamente più effi-caci in pazienti portatori di pace-maker;
.dialisi peritoneale;
.intervento nutrizionale;
.attività fisica.
La dispnea e l'astenia, che limitano la capacità funzio- nale del paziente scompensato, sono in parte dovute ad alterazioni metaboliche e strutturali a livello dell’ apparato muscolare. Esistono evidenze che tali alterazioni possa-no in parte essere reversibili mediante l'allenamento fisi-co. Purtroppo esistono pochi studi sistematici sull'argo-mento e quindi non è possibile dare su questo argomen-to delle vere e proprie linee guida.
Il training fisico in ogni caso necessita di molta cautela, di un' alta competenza e inoltre deve essere proposto solo ai pazienti clinicamente stabili.
L'attività fisica deve iniziare al letto del paziente con esercizi di mobilizzazione prima passivi e poi attivi anche quando la malattia è ancora in fase di instabilità, allo scopo di impedire o limitare il decondizionamento mu- scolare. In seguito la distanza percorsa durante un pe-riodo prefissato (ad esempio il test dei 6 minuti) è un parametro diffusamente utilizzato per verificare i risultati del trattamento.
Raggiunta la stabilità emodinamica e completata la valu-tazione funzionale e prognostica, può essere iniziato un vero e proprio ciclo di riabilitazione fisica. Per quanto concerne la sua intensità, esso dovrebbe essere con-dotto in condizioni di assoluta aerobiosi e quindi sempre al di sotto della soglia anaerobica.
Pazienti con trapianto cardiaco.
Dopo l' intervento di trapianto cardiaco i pazienti usual- mente rimangono ricoverati per 1-2 settimane, in reparto cardio-chirurgico; la gestione riabilitativa è simile a quella praticata per gli altri pazienti cardiochirurgici. La perso-nalizzazione dell’ intervento riabilitativo è in relazione alle condizioni cliniche del paziente, ma anche in relazione al- la storia clinica e alle comorbilità.
Il percorso riabilitativo dopo la fase acuta si deve svol-gere in una struttura riabilitativa e non si differenzia da quello proposto per gli altri pazienti post-chirurgici, anche se deve essere posta attenzione alla specifica ge-stione clinica del cardio-trapiantato. Per quanto riguarda il training fisico, anche se in letteratura non sono stati proposti schemi specifici, potrà essere condotto come per gli altri cardiooperati, ma in locali poco affollati al fine di evitare le infezioni. Poiché spesso sono presenti problemi di adattamento emodinamico del cuore tra-piantato alla precedente situazione emodinamica del ricevente, riguardo al training è necessario procedere con maggiore gradualità. In particolare una valutazione ergometrica è preferibile che sia effettuata almeno dopo un mese dall' intervento, sempre che non siano pre- senti problemi di rigetto.
La fase di riabilitazione intensiva deve essere effettuata in regime di degenza sia per problemi clinici che impon-gono frequenti biopsie miocardiche, che per problemi lo-gistici, ad esempio per la distanza dalla sede di resi-denza del paziente.
Questa fase si deve protrarre per almeno un mese dopo il test ergometrico, ma assai spesso è necessario un pro- lungamento della fase riabilitativa di tipo intensivo per la necessità di erogare un più adeguato supporto psico- logico.
Pazienti con arteriopatie obliteranti degli arti inferiori.
La malattia aterosclerotica è una malattia con interes-samento multidistrettuale. E’ stato infatti dimostrato che in una popolazione affetta da cardiopatia ischemica la presenza di una arteriopatia obliterante cronica degli arti inferiori va dal 15 al 26% secondo i vari ricercatori. Per quanto riguarda la gravità della malattia, secondo alcuni studi che hanno valutato la mortalità dei pazienti affetti da claudicatio intermittens, è stato osservato che dopo 5, 10 e 15 anni di follow-up la mortalità è del 30%, 50% e 70% rispettivamente. Inoltre, rispetto ad una popolazione di individui della stessa età e sesso, la mortalità dei pazienti affetti da arteriopatie obliteranti croniche perife- riche a 5 anni, è stato osservato che è maggiore di 2-3 volte.
I fattori di rischio che incidono maggiormente sull' insor- genza dell'arteriopatie obliteranti croniche periferiche so-no il diabete e il fumo, i quali influenzano negativamente la progressione della malattia soprattutto se a localizza-zione distale.Anche se l' ipertensione e l'ipercolesterole-mia,non sembrano avere una correlazione con la pato-logia aterosclerotica periferica, è necessario ribadire l'im-portanza dell'effetto cumulativo dei diversi fattori di ri-schio anche quando esaminati isolatamente non presen-tano una significatività statistica.
L’Ankle Brachial Index (indice caviglia-braccio) è utile per la diagnosi precoce di arteriopatie degli arti inferiori, per stabilire la gravità delle arteriopatie sintomatiche e come indicatore del rischio per eventi cardiovascolari (infarto del miocardio,angina pectoris,ictus,ischemia cri-tica).
In commercio esistono strumenti dotati di bracciali per misura alle caviglie e di bracciali per misura sugli arti su-periori.
Il calcolo dell’indice ABI (indice caviglia-braccio), viene effettuato mediante la misura della pressione arteriosa ottenuta con i bracciali applicati alle caviglie ed alle brac- cia, in modo contemporaneo. La rilevazione viene effet- tuata mediante il metodo oscillometrico.
Un indice ABI tra 0,90 e 1,30 è un indice di normalità. Nella figura si osserva che a mano a mano che l'indice scende aumenta la gravità della arteriopatia.
Le arteriopatie obliteranti croniche periferiche ven-gono classificate in:
I stadio. In questo stadio da punto di vista clinico non so-no presenti sintomi, per cui la diagnosi è possibile solo con metodiche strumentali;
II stadio. E’ caratterizzato da claudicatio intermittens; es-sa viene valutata mediante un test al treadmill alla velo-cità di 3 Km/h. Con questa metodica si può individuare l'intervallo libero da dolore (painfree initial walking distan-ce) e la capacità massima intesa come maximum wal-king distance. Questo stadio comprende:
• stadio IIa in relativo buon compenso;
• stadio IIb in precario compenso.
Le indagini vascolari non invasive consentono di definire la sede, la gravità e l' estensione delle lesioni.
III stadio. Sono presenti dolori a riposo senza lesioni trofiche. Dal punto di vista strumentale la pressione sisto-lica alla caviglia può mostrare 2 substadi:
• IIIa se la pressione sistolica alla caviglia è > 50 mmHg nel paziente non diabetico e se la pressione all' alluce è > 30 mmHg nel diabetico;
• IIIb se la pressione sistolica alla caviglia è < 50 mmHg nel paziente non diabetico e se la pressione all'alluce è < 30 mmHg nel diabetico.
IV stadio. Sono presenti lesioni trofiche più o meno este-se fino alla gangrena.
Indagini vascolari invasive e non sono necessarie per lo-calizzare la sede delle lesioni e differenziare in questo modo le arteriopatie prossimali (distretto aorto-iliaco-fe-morale)con indicazione terapeutica prevalentemente chi-rurgica da quelle distali non correggibili chirurgicamente.
TERAPIA DELLE ARTERIOPATIE OBLITERANTI DE-GLI ARTI INFERIORI.
La terapia dell' arteriopatie obliteranti croniche perife- riche è di tipo medico, chirurgico e riabilitativo, assai di frequente questi presidi sono complementari.
Riguardo ai pazienti allo stadio I, il cui riscontro è spesso occasionale, l’ intervento rimane limitato ad una corre- zione dei fattori di rischio e alla ricerca di eventuali lesioni in altri distretti della malattia aterosclerotica.
Per i pazienti al II stadio si impone un adeguato tratta- mento medico, a cui deve essere associata la riabili- tazione intesa come training fisico. In tale stadio l'inter- vento chirurgico ha poche indicazioni e comunque il pro-gramma riabilitativo che può precedere e/o seguire l'atto chirurgico, è capace di potenziarne gli effetti.
Al III e IV stadio la terapia è chirurgica, mediante rivasco- larizzazione diretta dell' arto o in caso di controindica- zioni all’ intervento mediante simpaticectomia lombare.
Il ruolo della riabilitazione in questo stadio è di affiancare, precedere e seguire l' atto chirurgico: nella fase pre- operatoria l'attività fisica ha la funzione della prepara-zione del letto vascolare a valle della lesione; nel periodo postoperatorio ha la funzione di potenziare gli effetti dell'atto chirurgico per correggere una eventuale claudi-catio residua.
Sono state proposte tecniche di riabilitazione attive e passive.
Le tecniche passive comprendono:
• esercizi posturali declivi semplici con arto in posizione verticale e le posture alternate di Allen-Buerger;
• applicazioni di calore (bagni caldi, etc.) con azione ri-flessa simpatica;
• drenaggi manuali o pneumatici.
Le tecniche passive vengono utilizzate solo nei soggetti al III e IV stadio, non chirurgici, non essendoci evidenze sui risultati positivi nei pazienti al II stadio.
Le tecniche attive invece comprendono:
• esercizi ginnici;
• training in aerobiosi.
I meccanismi attraverso i quali le tecniche di riabilita- zione attive e in particolare quelle in aerobiosi, hanno for-nito risultati soddisfacenti, possono essere:
• potenziamento del circolo collaterale;
• riduzione della soglia di sensibilità al dolore;
• miglioramento della risposta metabolica delle cellule muscolari sotto sforzo;
• migliore adattamento ergonomico alla marcia;
• diminuzione dell'effetto di furto prossimale.
Il ciclo riabilitativo in aerobiosi comprende un inizio trai-ning in regime controllato e una fase di mantenimento a domicilio.
Training controllato.
Ai pazienti si insegna a camminare con brevi cicli di allenamento al tappeto ruotante ed una volta acquisita una certa dimestichezza con lo strumento, si misura l' intervallo di claudicatio (IC) ed il tempo di recupero (TR), sia sul tappeto, che su percorso misurato a piano.
Sulla base di questi dati viene impostato il programma di lavoro della durata di 3 settimane che comprende i seguenti elementi:
•massoterapia come riscaldamento all' inizio della seduta e come defaticamento al termine;
•esercizi ginnici con contrazioni isotoniche dei distretti muscolari interessati dall'arteriopatie obliteranti croniche periferiche;
•camminate ripetute sul tappeto ruotante;
•camminate libere su percorso misurato.
Fase di mantenimento.
Il paziente viene dimesso con la prescrizione di un pro-gramma di attività fisica a domicilio come esercizi ginnici, cammino su percorso misurato, etc. Periodicamente il paziente viene sottoposto a controllo ambulatoriale con indagini strumentali ecografiche e con misurazione dell' intervallo di claudicatio.Sulla base dei risultati si aggiorna il successivo programma.
Nei pazienti con claudicatio intermittens,un recen- te studio ha dimostrato che un programma di e-sercizi fisici per 30 minuti per 2 volte per settima- na, è risultato efficace quanto la rivascolarizza-zione endovascolare in termini di risultati fun- zionali e di qualità della vita. Lo studio, condotto da Farzin Fakhry dell' Erasmus Medical Center di Rotterdam, ha sottolineato come attualmente la terapia medica ha un' efficacia limitata nei pa- zienti con claudicatio intermittens, mentre l’eser- cizio fisico è la terapia di prima scelta racco- mandata nelle linee guida internazionali.
Sono stati arruolati 150 pazienti con claudicatio intermittens e randomizzati ad attività fisica (camminare su un tapis roulant per 30 minuti due volte a settimana (75 pazienti), o rivascolariz-zazione endovascolare (75 pazienti).
Basalmente le caratteristiche dei pazienti erano simili e i pazienti di entrambi i gruppi sono stati invitati a camminare a casa il più possibile.
Gli outcome sono stati sia funzionali, tra cui la massima distanza percorsa in assenza di dolore e l’ indice caviglia-braccio, che eventi-interventi se-condari (endovascolare o chirurgico), le amputa-zioni minori o maggiori e la morte.
È stata anche valutata la qualità della vita.
Dopo 7 anni di follow up i risultati hanno indicato che l’ attività fisica di 30 minuti 2 volte a setti- mana era altrettanto efficace quanto la rivasco-larizzazione endovascolare nel migliorare la fun- zionalità e la qualità della vita. Il numero di pa-zienti con uno o più interventi secondari è stato maggiore nel gruppo attività fisica (32 pazienti sono stati sottoposti ad almeno un intervento se-condario rispetto a 17 nel gruppo rivascolarizza-zione endovascolare, p =0,01), anche se il nume-ro medio di interventi secondari non differiva tra i due gruppi (2,0 nel gruppo attività fisica vs 2,8 nel gruppo rivascolarizzazione [p= 0,10]). Due pazienti del gruppo esercizio hanno subito l'am-putazione minore e 3 nel gruppo rivascolarizza-zione sono stati sottoposti ad una amputazione maggiore. American Heart Association scientific session 2012, Los Angeles USA.
=================================================================
Riguardo ai pazienti allo stadio I, il cui riscontro è spesso occasionale,l’intervento rimane limitato ad una correzio-ne dei fattori di rischio e alla ricerca di eventuali lesioni in altri distretti della malattia aterosclerotica.
Per i pazienti al II stadio si impone un adeguato tratta- mento medico, a cui deve essere associata la riabilita- zione intesa come training fisico. In tale stadio l'interven-to chirurgico ha poche indicazioni e comunque il pro-gramma riabilitativo che può precedere e/o seguire l'atto chirurgico, è capace di potenziarne gli effetti.
Al III e IV stadio la terapia è chirurgica, mediante rivasco- larizzazione diretta dell'arto o in caso di controindicazio- ni all’intervento mediante simpaticectomia lombare.
Il ruolo della riabilitazione in questo stadio è di affiancare, precedere e seguire l'atto chirurgico: nella fase pre-ope-ratoria l'attività fisica ha la funzione della preparazione del letto vascolare a valle della lesione; nel periodo post-operatorio ha la funzione di potenziare gli effetti dell'atto chirurgico per correggere una eventuale claudicatio resi-dua.
Sono state proposte tecniche di riabilitazione attive e passive.
Le tecniche passive comprendono:
• esercizi posturali declivi semplici con arto in posizione verticale e le posture alternate di Allen-Buerger;
• applicazioni di calore (bagni caldi,etc.) con azione rifles-sa simpatica;
• drenaggi manuali o pneumatici.
Le tecniche passive vengono utilizzate solo nei soggetti al III e IV stadio, non chirurgici, non essendoci evidenze sui risultati positivi nei pazienti al II stadio.
Le tecniche attive invece comprendono:
• esercizi ginnici;
• training in aerobiosi.
I meccanismi attraverso i quali le tecniche di riabilita- zione attive e in particolare quelle in aerobiosi, hanno for-nito risultati soddisfacenti, possono essere:
• potenziamento del circolo collaterale;
• riduzione della soglia di sensibilità al dolore;
• miglioramento della risposta metabolica delle cellule muscolari sotto sforzo;
• migliore adattamento ergonomico alla marcia;
• diminuzione dell' effetto di furto prossimale.
Il ciclo riabilitativo in aerobiosi comprende un inizio training in regime controllato e una fase di mantenimento a domicilio.
Training controllato.
Ai pazienti si insegna a camminare con brevi cicli di alle-namento al tappeto ruotante ed una volta acquisita una certa dimestichezza con lo strumento,si misura l' interval-lo di claudicatio (IC) ed il tempo di recupero (TR), sia sul tappeto, che su percorso misurato a piano.
Sulla base di questi dati viene impostato il programma di lavoro della durata di 3 settimane che comprende i se-guenti elementi:
•massoterapia come riscaldamento all'inizio della seduta e come defaticamento al termine;
•esercizi ginnici con contrazioni isotoniche dei distretti muscolari interessati dall'arteriopatie obliteranti croniche periferiche;
•camminate ripetute sul tappeto ruotante;
•camminate libere su percorso misurato.
Fase di mantenimento.
Il paziente viene dimesso con la prescrizione di un pro-gramma di attività fisica a domicilio come esercizi ginnici, cammino su percorso misurato, etc. Periodicamente il paziente viene sottoposto a controllo ambulatoriale con indagini strumentali ecografiche e con misurazione dell' intervallo di claudicatio. Sulla base dei risultati si aggior-na il successivo programma.
Nei pazienti con claudicatio intermittens,un recen- te studio ha dimostrato che un programma di esercizi fisici per 30 minuti per 2 volte per setti- mana,è risultato efficace quanto la rivascolarizza-zione endovascolare in termini di risultati funzio-nali e di qualità della vita. Lo studio, condotto da Farzin Fakhry dell'Erasmus Medical Center di Rot-terdam, ha sottolineato come attualmente la tera-pia medica ha un'efficacia limitata nei pazienti con claudicatio intermittens, mentre l’esercizio fisico è la terapia di prima scelta raccomandata nelle line-e guida internazionali.
Sono stati arruolati 150 pazienti con claudicatio intermittens e randomizzati ad attività fisica (camminare su un tapis roulant per 30 minuti due volte a settimana (75 pazienti), o rivascolarizza-zione endovascolare (75 pazienti).
Basalmente le caratteristiche dei pazienti erano simili e i pazienti di entrambi i gruppi sono stati invitati a camminare a casa il più possibile.
Gli outcome sono stati sia funzionali,tra cui la massima distanza percorsa in assenza di dolore e l’indice caviglia-braccio, che eventi-interventi se-condari (endovascolare o chirurgico), le amputa-zioni minori o maggiori e la morte.
È stata anche valutata la qualità della vita.
Dopo 7 anni di follow up i risultati hanno indicato che l’ attività fisica di 30 minuti 2 volte a setti- mana era altrettanto efficace quanto la rivasco-larizzazione endovascolare nel migliorare la fun- zionalità e la qualità della vita. Il numero di pa-zienti con uno o più interventi secondari è stato maggiore nel gruppo attività fisica (32 pazienti sono stati sottoposti ad almeno un intervento se-condario rispetto a 17 nel gruppo rivascolarizza-zione endovascolare, p = 0,01), anche se il nu-mero medio di interventi secondari non differiva tra i 2 gruppi (2,0 nel gruppo attività fisica vs 2,8 nel gruppo rivascolarizzazione [p= 0,10]).Due pa-zienti del gruppo esercizio hanno subito l'amputa-zione minore e 3 nel gruppo rivascolarizzazione sono stati sottoposti ad una amputazione maggio-re. American Heart Association scientific session 2012, Los Angeles USA.
=================================================================
Quando un paziente è affetto da arteriopatia obliterante degli arti inferiori, l'obiettivo del trattamento è quello di prevenire gli eventi cardiovascolari, come infarto del mio-cardio e ictus cerebri e di migliorare la sua capacità fun-zionale. In alcuni casi, sono raccomandate le procedure vascolari per ripristinare il flusso ematico all’arto interes-sato come l'angioplastica con eventuale posizionamento di stent e il bypass chirurgico.Tali procedure sono utiliz-zabili per evitare l'amputazione nei pazienti con le forme più gravi di arteriopatia obliterante, ma anche in un ulteriore gruppo di pazienti che hanno una arteriopatia meno grave, ma che presentano importanti limitazioni nel camminare nonostante il trattamento farmacologico. Indi-pendentemente dalle eventuali procedure vascolari, tutti i pazienti con arteriopatia devono assumere statine e tera-pia antiaggregante piastrinica, come l'aspirina o clopi-dogrel. Per quanto riguarda la duplice terapia antiaggre-gante piastrinica, la combinazione di aspirina e clopi-dogrel, deve essere considerata dopo un intervento chi-rurgico vascolare o di procedure di stenting.
Come prescritto nelle linee guida del 2011, l'attività fisica è un elemento fondamentale nella gestione dei pazienti con arteriopatia: tutti i pazienti dovrebbero partecipare ad un programma individualizzato di allenamento che deve includere istruzioni specifiche per il tipo, la frequenza, l'intensità e la durata di esercizio. Anche per quanto riguarda l'importanza di smettere di fumare per il pa-ziente con arteriopatie, le nuove linee guida sottolineano la necessità di evitare in modo assoluto il fumo. La misurazione indice caviglia braccio (ABI) continua ad essere raccomandato per i pazienti con sintomi e segni di arteriopatia. Per i pazienti senza sintomi, ma che sono ad aumentato rischio, è ragionevole utilizzare l'ABI per determinare se la arteriopatia è presente. Secondo le linee guida, i soggetti di età => 65 sono a maggior rischio di arteriopatia, così come le persone tra i 50 e i 64 anni che fumano o che hanno ipercolesterolemia, iperten-sione, diabete, o una storia familiare di arteriopatia. Altri soggetti ritenuti maggiormente a rischio sono le persone con meno di 50 e affetti da diabete con almeno un altro fattore di rischio. Persone con una storia di aterosclerosi come coronaropatia, arteriopatia delle arterie carotidi o delle arterie addominali, sono anche a maggior rischio di arteriopatia. Marie Gerhard-Herman, MD, coordinatore delle linee guida. Congresso AHA 2016 - American Heart Association - New Orleans US.
CONTROLLI PERIODICI DEI PAZIENTI CHE HANNO EFFETTUATO UN PER- CORSO RIABILITATIVO
COME DEVONO ESSERE PROGRAMMATI I CON- TROLLI?
Non esistono criteri rigidi, in quanto il programma dei controlli dipende dalla gravità della malattia. Usualmente in assenza di particolari problemi e/o disturbi, i controlli, programmati dal cardiologo in collaborazione con il medico curante, comprendono una visita cardiologica ogni 6 mesi ed un test ergometrico ogni anno. In altre occasioni la valutazione può essere effettuata in regime di ricovero ordinario (la durata media di degenza è di 4 giorni) o in regime di DH.
Vengono effettuati:
.accurato aggiornamento
anamnestico;
.visita medica con esame obiettivo
generale;
.esami ematochimici di routine con quadro
lipidi-co e indici di funzionalità tiroidea (per i pazienti in trattamento con amiodarone);
.ECG basale; ECG dinamico secondo Holter;
.ecocardiogramma mono-bidimensionale con eco- color
doppler;
.test da sforzo in wash-out
farmacologico.
Nei casi dubbi o complicati è possibile procedere con ul-teriori accertamenti diagnostici o terapeutici, prolungando il periodo di degenza.
L'aderenza ad un programma di esercizi a domicilio, senza lo stimolo dell' equipe riabilitatore e l' ausilio dello spirito di gruppo, diviene sempre più bassa, al punto che è stato calcolato che circa il 60% dei pazienti abbandona totalmente l'attività fisica e spesso anche i controlli clinici. Una soluzione operativa potrebbe essere quella di frequentare strutture extraospedaliere come le asso-ciazioni sportive oppure di frequentare Clubs Coronarici costituiti da associazioni di pazienti che si propongono di organizzare la fase del mantenimento, sempre con la supervisione di un fisioterapista e di un cardiologo riabili-tatore che organizzano il programma di esercizi fisici, l'e-ducazione sanitaria, i controlli clinici, etc.
=================================================================
ALCUNI CONSIGLI PRATICI PER I PAZIENTI REDUCI DA UN INFARTO ACUTO DEL MIOCARDIO O DA UN INTERVENTO DI CHIRURGIA CARDIOTORACICA:
-QUANDO E' POSSIBILE PRATICARE SPORT?
-QUANDO E' CONSENTITO GUIDARE L'AUTO-MOBILE?
-QUANDO E' CONSENTITO VIAGGIARE IN AEREO?
-QUANDO PUO'ESSERE RIPRESA L'ATTIVITA' SESSUALE?
-QUALE LUOGO PREFERIRE PER LE VACAN-ZE?
-QUANDO PUO'ESSERE RIPRESA L'ATTIVITA' LAVORATIVA?
-QUALE ALIMENTAZIONE BISOGNA
OSSER-VARE?