(Diabetes Mellitus)
Il paziente affetto da diabete mellito* ha una cronica ca-renza,assoluta o relativa,di un ormone chiamato insuli-na**,prodotto dalle isole di Langerhans del pancreas,che ha la funzione di metabolizzare gli zuccheri***;di conse-guenza gli zuccheri non metabolizzati si accumulano nel sangue, determinando un aumento dei valori glicemici (iperglicemia).
Dal punto di vista epidemiologico il diabete mellito è una vera e propria pandemia. Nel mondo, secondo i dati dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità, 220 milioni di per- sone sono affette da diabete mellito ed è stato stimato che nel 2025, 300 milioni di persone nel mondo ne sa-ranno affette.
La diffusione del diabete è maggiore nelle zone dove la dieta è ricca di grassi, dove si consuma molto alcool e si fuma molto. Anche un consumo di alimenti raffinati come il riso bianco e brillato è associato ad un significativo in- nalzamento del rischio di insorgenza di diabete di tipo 2. Nelle popolazioni asiatiche dove il consumo di riso è as-sai diffuso è stata rilevata una correlazione diretta tra il suo consumo e il rischio di diabete di tipo 2.Per controlla- re la diffusione del diabete occorre aumentare il consu- mo di cereali integrali diminuendo quello di cereali raffi- nati. Sun Q, Hu EA,Pan A,Malik V.White rice consumption and risk of type 2 diabetes:meta-analysis and systematic review.BMJ 2012.
Uno studio ha valutato i cambiamenti della prevalen- za****del diabete in 2 decenni. Lo studio, condotto dal National Health and Nutrition Examination Survey,ha in-cluso 22.586 adulti scelti in 3 differenti periodi:1988-1994, 1999-2004, e 2005-2010.
I risultati hanno messo in evidenza che il numero degli adulti con diabete mellito è aumentato del 75% dal pe-riodo 1988-1994 al 2005-2010. Dopo un aggiustamento per sesso, razza/etnia e livello educazionale, la prevalen- za di diabete è aumentata in tutti i gruppi. I giovani adulti (20-34 anni di età) avevano un minore aumento assoluto nella prevalenza di diabete (1,0%), seguiti dagli adulti di mezza età (35-64) al 2,7% e gli adulti anziani (≥ 65) al 10,0% (per tutti p < 0,001). Paragonando il periodo 2005-2010 con il periodo 1988-1994,i ratio di prevalenza (PRs) per gruppo di età sono stati 2,3, 1,3, e 1,5 per i più gio-vani, quelli di media età e i più anziani rispettivamente (per tutti p < 0,05). Dopo un ulteriore aggiustamento per indice di massa corporea, (BMI), rapporto circonferenza vita/altezza (WHtR), o circonferenza addome (WC), il ra- tio di prevalenza è rimasto significativo solo per gli adulti con≥65 anni di età. Quindi, durante le ultime 2 decadi, la prevalenza di diabete è aumentata tra tutti i gruppi, ma gli adulti ≥ 65 anni hanno avuto il maggior aumento. L’o- besità è risultata fortemente associata con l’aumento del-la prevalenza di diabete, specialmente negli adulti di età < 65 anni. Diabetes Care 2013.
Anche in Italia la prevalenza di diabete mellito sta au- mentando e questo per il progressivo abbandono della dieta mediterranea e l'adozione di stili di vita che favori- scono l' aumento del sovrappeso e dell' obesità.
Dal 2002 al 2010, secondo i dati ISTAT, gli italiani affetti da diabete sono passati da 2 milioni e 250 mila a 3 milioni: un incremento del 33%. La prevalenza della pa- tologia è salita pertanto dal 3,9% al 4,9%, ma si rag- giunge il 6% circa se si considera che ai pazienti già dia- gnosticati deve essere aggiunto un altro milione di pa- zienti che non sanno di esserne affetti. Nello stesso pe- riodo, è cambiata anche la diffusione regionale del dia- bete: se nel 2002 ne soffriva il 4,2% dei residenti al Sud, nel 2010 la percentuale è salita a 5,8%. Questo incre- mento è significativamente maggiore rispetto a quello re-gistrato al Centro (dal 4,1% al 4,8%) e al Nord (da 3,6% al 4,4%).I dati in generale dimostrano quanto il diabete stia diventando sempre più una malattia sociale, che coinvolge non solo chi ne è affetto, ma anche le fami-glie, le istituzioni, le società scientifiche.
In Italia, ne sono affetti circa 6 milioni di persone; in particolare dopo i 40 anni, 1 italiano su 3 è a rischio diabete.
Ciononostante il paziente diabetico, non deve essere considerato un soggetto emarginato o discriminato, ma deve essere protagonista di un percorso, che se affronta- to con determinazione e con il sostegno della comunità, può condurre una vita del tutto normale:le persone con diabete possono fare sport e possono avere una vita di relazione completamente normale (G. Borrello Minerva Medica).
La malattia all'inizio non dà sintomi, ma subdolamente danneggia in modo irreversibile l'organismo. Ecco per- chè in Europa il 30-50% dei casi non sa di essere dia-betico; in Italia circa 1 milione di persone ignora il suo stato di malattia, pertanto una parte assai consistente di pazienti diabetici resta per alcuni anni (4-7 anni) senza avere la diagnosi e un trattamento adeguato. Per questa ragione è assai importante fare la diagnosi precoce di malattia per intraprendere un trattamento adeguato, fin dalle prime fasi della malattia. Per ottenere questi risultati è necessaria un' azione congiunta tra medici, decisori pubblici e pazienti, volta a sensibilizzare l’ opinione pub- blica sull'importanza di sottoporsi periodicamente a con- trolli della glicemia ed eventualmente iniziare quanto più prima possibile le cure, per favorire l'ottimizzazione del controllo glicemico e prevenire le conseguenze della ma- lattia.
È una delle malattie più diffuse al mondo e solo negli Stati Uniti
colpisce 24 milioni di persone. La terapia sul lungo periodo mira a controllare la concentrazione di glu-cosio (glicemia) nel sangue per prevenire le compli-cazioni acute, cioè la chetosi e
l’iperglicemia. Se
si riesce a controllare la glicemia possono essere minimizzate
an-che altre complicazioni come la retinopatia, la neuropa-tia, la nefropatia e le malattie cardiovascolari.
COME SI FA LA DIAGNOSI DI DIABETE?
L'iperglicemia che caratterizza il diabete mellito spesso è accompagnata da alcuni sintomi peculiari come:
.aumento della sete (polidipsia); per questa ragione la malattia fino al XVIII secolo in Giappone era chiamata malattia della sete: Shoukachi;
.aumento della quantità di urine emesse nelle 24 ore (poliuria);
.perdita di peso;
.obnubilamento del sensorio.
Fino ad alcuni decenni fa, per fare diagnosi di diabete mellito, bisognava con un dito assaggiare le urine. Se il gusto era dolce trattavasi di diabete mellito; mellito dal latino "mel" che significa miele, dolce.Oggi il diabete mel- lito si diagnostica mediante un esame del sangue che in caso di positività mette in evidenza un aumento dei valori glicemici.
L'American Diabetes Association ha stabilito il valore di 126 mg/dl come soglia limite oltre la quale, a digiuno, si definisce il diabete.
Quando i valori glicemici si attestano tra i 100- 110 e 126 mg/dl si parla invece di alterata glice- mia a digiuno. In presenza di valori glicemici dubbi a digiuno, viene prescritto il test di tolleranza al carico orale di glucosio(Oral Glucose Tolerance Test).
I criteri per la diagnosi di diabete sono riportati nella tabella seguente.
Quando i valori glicemici si attestano tra i 100- 110 e 126 mg/dl si parla invece di alterata glice-mia a digiuno. In presenza di valori glicemici dubbi a digiuno, viene prescritto il test di tolleranza al carico orale di glucosio (Oral Glucose Tolerance Test).
Per la diagnosi di diabete mellito oggi si preferisce effettuare l'esame della Emoglobina glicata.
Il test per la diagnosi di diabete con emoglobina glicata è ritenuto ugualmente valido rispetto al più fastidioso e lungo esame da carico orale di glucosio, il quaale impe- gna il paziente per alcune ore e con diversi prelievi di sangue venoso; per questa ragione il test è stato pro- mosso ad esame un esame di primo livello nella diagnosi del diabete latente.
Di che cosa si tratta? L’indagine si basa sulla evidenza, nota fin dagli anni 70, che il glucosio presente nel san- gue penetra nei globuli rossi e resta imprigionato nella molecola di emoglobina, la quale si «glica»,cioè si carica di zucchero.
E' interessante sapere che la percentuale di emo-globina glicata è proporzionale alla concentrazione di glucosio presente nel sangue e non è influenza-ta da eventuali malattie in corso. In pratica l'emo-globina glicata si è rivelata un ottimo indicatore della malattia.
L’esame dell’emoglobina glicata può essere dunque pre-scritto ai fini della diagnosi.In sintesi un comitato interna- zionale di esperti appartenenti all’American Diabetes As-sociation, all’European Association for the Study of Dia-betes e all’ International Diabetes Federation consiglia di usare l’esame dell’emoglobina glicata come primo esa-me per la diagnosi del prediabete, del diabete di tipo 1 e di quello di tipo 2. L’esame deve essere usato anche per controllare la terapia e la sua frequenza dipende: dal tipo di diabete, dal tipo di terapia e dall’efficacia della terapia. Quest’esame anche detto: esame dell’emoglobina glico-silata, dell’emoglobina A1C o dell’emoglobina HbA1c, ci permette di conoscere la glicemia media del sangue nei 2-3 mesi precedenti e più precisamente misura la con-centrazione nel sangue di emoglobina glicata, cioè dell’emoglobina legata al glucosio. Maggiore è la con-centrazione di questa proteina, minore è il controllo del glucosio e maggiore è il rischio di complicazioni del dia-bete. In sintesi consente una valutazione complementa-re rispetto ad una singola valutazione del glucosio nel sangue; infatti alcuni pazienti possono avere valori nor-mali di glicemia a digiuno, ma possono avere elevate concentrazioni dopo i pasti, mentre altri possono avere livelli elevati a digiuno e valori solo moderatamente ele- vati dopo i pasti.
QUALI SONO I VALORI NORMALI di EMOGLOBINA GLICLATA?
L'intervallo di normalità varia leggermente (valori per pazienti con più di 18 anni) a seconda delle fonti:
.Mayo: 4.0-6.0%
.Medscape: 4.8–5.9%.
Il valore di emoglobina glicata è un'indicazione della gli-cemia media degli ultimi 2-3 mesi.
In sintesi consente una valutazione complementare ri-spetto ad una singola valutazione del glucosio nel san-gue; infatti alcuni pazienti possono avere valori normali di glicemia a digiuno,ma possono avere elevate concen-trazioni dopo i pasti, mentre altri possono avere livelli elevati a digiuno e valori solo moderatamente elevati dopo i pasti.
Come interpretare i risultati dell'Emoglobina glicata?
Se il paziente non è diabetico, il valore normale dell’emo-globina glicata varia da valori pari al 4% fino al 6%, mentre se il soggetto diabetico che non riesce a ben con-trollare la malattia può avere una concentrazione anche > 8%.
Le linee guida più recenti dell’American Diabetes Asso-ciation (ADA) dicono che trattasi diabete, quando il risul-tato dell'emoglobina glicata è uguale o superiore a 6,5%. Questa soglia si basa su dati di sensibilità e specificità derivanti da diverse ricerche.
Mentre i pazienti in cui la concentrazione dell’emoglobina glicata è compresa tra il 6% e il 6,5% sono considerati a considerati a rischio di diabete.
Per la maggior parte dei pazienti a cui è già stato dia-gnosticato il diabete, la terapia normalmente mira a rag-giungere una concentrazione di emoglobina glicata pari al massimo al 7%.
Maggiore è la concentrazione di emoglobina glicata, più si rischia di soffrire delle complicazioni del diabete.
L’esame dell’emoglobina glicata (HbA1c) quando deve essere prescritto nel follow- up del paziente diabetico?
.2 volte all’anno se il paziente è affetto da diabete di tipo 2, se non usa insulina e se l’indice glicemico rientra negli obiettivi previsti,
.3 o 4 volte all’anno se il paziente è affetto da diabete di tipo 1,
.4 volte all’anno se il paziente è affetto da diabete di tipo 2, usa insulina o ha difficoltà a mantenere la glicemia ben controllata.
Ovviamente quando viene modificata la terapia o si assumono farmaci in aggiunta, i controlli devono essere effettuati con maggior frequenza.
In conclusione si pone la diagnosi di diabete mel- lito quando la glicemia a digiuno è ≥ 126 mg/dl nel sangue venoso intero o capillare, oppure a 140 mg/dl nel plasma, oppure quando la glicemia dopo 2 ore dal carico di 75 g di glucosio è ≥180 mg/dl nel sangue venoso intero.
Più recentemente le linee guida dell’American Diabetes Association (ADA) per diagnosticare il diabete hanno proposto l'esame della emoglobina glicata, il cui risultato quando è uguale o superiore a 6.5% sta ad indicare il diabete mellito.Questa soglia si basa su dati di sensibilità e specificità derivanti da diverse ricerche.
COME CONTROLLARE LA MALATTIA?
Dopo molti anni di esperienza con insulina e ipoglicemiz- zanti orali, l’opinione corrente è che il trattamento elettivo del diabete, quando esso si manifesta nell’età adulta, de-ve essere rivolto alla promozione di uno stile di vita cor-retto che favorisca:
.il calo ponderale,
.la riduzione dell' obesità,
.il controllo degli altri fattori di rischio,
.l' incremento dell’attività fisica di tipo extralavorativo.
Il rischio cardiovascolare nei diabetico correla con i valori di glicemia e di emoglobina glicosilata.
La dieta nel diabetico si deve avvalere di alcuni principi fondamentali:
1. restrizione importante degli zuccheri semplici*** di cui sono ricchi le torte, la cioccolata, i pasticcini, etc. I dolci in genere, oltre ad elevate quantità di zuccheri semplici, i quali tra l'altro favoriscono la comparsa di carie dentali, contengono una notevole quantità di grassi;
2. restrizione, ma non eccessiva, come si pensava nel passato, dei carboidrati complessi ad assorbimento e uti- lizzazione più lenta (es. gli amidi);
3. restrizione del consumo di alcool;
4. restrizione di bevande gassate che usualmente hanno zucchero aggiunto;
5. restrizione calorica comunque ottenuta, mantenendo quote relativamente elevate di carboidrati complessi in relazione all’età, al sesso e all’attività fisica (lavorativa e ludica).
Per la prevenzione e il trattamento del diabete mellito, la distribuzione calorica deve essere così:
.la quota di carboidrati deve essere pari al 55% dell’energia totale, privilegiando i cibi ricchi di fi- bre alimentari, le quali hanno la funzione di mo- dulare l’assorbimento dei carboidrati, limitando i picchi glicemici della quota dei carboidrati (solo il 5% deve essere di carboidrati semplici);
.25% deve essere la quota di grassi;
.15% deve essere la quota di proteine;
.la quota di alcool non deve essere > al 5%.
Per la prevenzione e il trattamento del diabete mel-lito, la distribuzione calorica deve essere così:
.la quota di carboidrati deve essere pari al 55% dell’energia totale, privilegiando i cibi ricchi di fi- bre alimentari, le quali hanno la funzione di mo- dulare l’assorbimento dei carboidrati, limitando i picchi glicemici della quota dei carboidrati (solo il 5% deve essere di carboidrati semplici);
.25% deve essere la quota di grassi;
.15% deve essere la quota di proteine;
.la quota di alcool non deve essere > al 5%.
Sebbene le cause del diabete siano complesse, il dia-bete di tipo 2 è prodotto dalla combinazione di una predi-sposizione genetica e di scelte riguardanti lo stile di vita, compresa una errata alimentazione.
In pratica l'assunzione di zuccheri non è la causa del diabete, ma ne determina un più elevato rischio, special- mente se è presente una familiarità per diabete.
Lo zucchero è inoltre uno dei fattori che incidono sulla formazione della carie dentaria e di alcune malattie gen-givali.
Oltre ad un adeguato controllo della glicemia, ai fini della prevenzione cardiovascolare, è necessario che il pazien- te diabetico tenga sotto controllo tutti gli fattori di rischio.
Un recente studio ha valutato l' associazione tra i cam- biamenti nella composizione corporea, dopo esercizio fisico e le variazioni nel valore di emoglobina glicata in soggetti con diabete mellito di tipo 2. Sono stati rando-mizzati 201 pazienti ad un esercizio aerobico, di resi- stenza o ad entrambi per 9 mesi. Le variazioni del tasso di emoglobina glicata sono state associate con le varia- zioni del peso corporeo (r = 0,13, p = 0,052), circonferen- za vita (r = 0,17; p = 0,013), massa grassa corporea (r = 0,19, p = 0,005) e METs stimato (r = 0,16, p = 0,023). E' stata osservata una relazione tra le variazioni di emo- globina glicata tra i quartili della circonferenza vita (p = 0,011),della massa grassa corporea (p = 0,020) e i METs stimati (p = 0,011). I soggetti con aumento dei METs sti-mati e ridotta massa grassa del tronco, avevano un odds maggiore di avere un ridotto valore di HbA1c dopo eser-cizio (3,48,1,46-8,31).Infine i partecipanti con aumento dei METs e ridotta circonferenza vita erano 2,81 (1,13- 6,98) volte più inclini ad avere una ridotta HbA1c e ad utilizzare meno farmaci rispetto a quelli che non avevano avuto un miglioramento dell’adiposità centrale.
In conclusione, nei pazienti con diabete di tipo 2, una ri- duzione dell’adiposità centrale e un miglioramento della forma fisica, sono risultati i predittori più importanti del cambiamento di HbA1c in risposta all’esercizio fisico. American Diabetes Association 2013.
Perchè per definire il diabete, si mette l'aggettivo mellito, cioè si dice "diabete mellito"?
Si mette l'aggettivo mellito per distinguere il diabete da un altro diabete il cosiddetto "diabete insipido", che è una malattia caratterizzata dall’ emissione di grandi quantità di urine, che però non sono dolci e che sono in relazione ad una carenza dell' ormone antidiuretico, secreto dall' ipofisi (ADH).
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*La malattia era conosciuta fin dall'antichità dagli India-ni. Il medico indiano Sushruta nel VI secolo a.C.la definì "malattia dell'urina dolce" e la faceva diagnosticare al-le formiche, le quali arrivavano numerose per succhiare l'urina dei malati che veniva posta all'aperto.
Anche gli antichi Cinesi conoscevano la malattia e la chiamavano "malattia della sete".
Il papiro egiziano di Ebers del 1552 a.C. dimostra che gli antichi egizi erano a conoscenza di una malattia che era associata con l'emissione di molta urina.
Il termine "Diabete" fu coniato dal medico greco Areteo di Cappadocia (81-133 d.C.),che esercitò la professione medica a Roma nel I secolo, verosimilmente sotto l' im-peratore Vespasiano o Nerone. Per inciso si ricorda che ad Areteo viene attribuito la prima descrizione della Ce-liachia (dal greco classico koilía che significa ventre), malattia autoimmune dell'intestino tenue, di cui sono af-fetti individui di tutte le età, geneticamente predisposti.
Il termine diabete proviene dal verbo greco antico "dia- bainein" che significa "passare attraverso" (diàbainein), per ricordare la frequente e abbondante emissione di uri- ne che caratterizza la malattia (poliuria).
Successivamente il termine greco fu "latinizzato" in dia-bètes.
L'aggettivo "mellito", che usualmente viene aggiunto al termine "diabete", proviene dal latino mel, che significa miele. E' stato introdotto dal medico inglese Thomas Willis nel 1675 (medico di Carlo I d'Inghilterra), perchè le urine dei pazienti diabetici hanno un sapore dolce. Que-sto perchè nei tempi passati, le metodiche di laboratorio, per porre la diagnosi di diabete mellito, includevano l'as-saggio delle urine dei pazienti da parte del laboratorista.
Nel 1776 Matthew Dobson isolò lo zucchero nelle urine dei diabetici previa evaporazione e con l'aggiunta di un lievito provocò la fermentazione, dimostrando così che si trattava di zucchero.
Devono passare più di 100 anni e precisamente bisogna arrivare al maggio del 1889 prima che si conoscesse la causa della malattia.
In quell'anno 2 ricercatori Joseph von Mering e Oscar Minkowsky dell'Università di Strasburgo, dimostrarono che la malattia dipendeva da un ormone secreto dal pan-creas e lo fecero mediante la rimozione del pancreas a 2 cani, a cui seguì una profusa diuresi con tutti i sintomi tipici del diabete dell'uomo.
**L'insulina è un ormone secreto dalle cellule ß delle iso-le di Langerhans del pancreas.
Le isole furono descritte nel 1869 da Paul Langerhans come un nuovo gruppo di cellule nel pancreas, però non se ne conosceva la funzione. Si tratta di cordoni cellulari collocati tra una rete di capillari in cui il sangue scorre dal centro verso l'esterno. Nel 1910 Sir Edward Albert Sharpey-Scafer intuì che il diabete fosse legato ad una carenza di una sostanza prodotta dalle isole del Lan-gerhans del pancreas. Per questa ragione chiamò la so-stanza, prodotta dalle isole, "insulina". Oltre all'insulina vi è un altro ormone il glucagone, secreto dal pancreas e che è interessato al metabolismo del glucosio.
In particolare: l'insulina secreta dalle cellule ß permette il metabolismo del glucosio mediante l'attivazione della glicolisi; favorisce l'accumulo di glucosio nel fegato sotto forma di glicogeno e l'immagazzinamento dei grassi; il glucagone, secreto dalle cellule α, è un ormone pepti- dico secreto dal pancreas che ha come bersaglio princi- pale alcune cellule del fegato; esso permette il controllo dei livelli di glucosio nel sangue,affinché rimangano entro certi limiti. Quando il livello ematico di glucosio scende sotto 80-100 mg/dl, le cellule α cominciano a secernere glucagone.Questo si lega immediatamente ai suoi recet-tori presenti principalmente sugli epatociti,attivando la gli-cogenolisi con conseguente rilascio di glucosio nel sangue.
In sintesi il glucagone contrasta l'ipoglicemia, per cui in-sulina e glucagone intervengono in sinergia. La sua sco- perta si deve al Premio Nobel (1974) Christian de Duve, biochimico belga.
La somatostatina è un altro ormone secreto dalle cellule δ; essa ha un effetto inibitore sulla secrezione di entram-bi gli ormoni.
***"Zucchero"deriva dalla parola araba "sukkar".Lo zuc-chero, la cui formula chimica è C12 H22 O11, è la deno- minazione comune di un disaccaride, il saccarosio, che è composto da glucosio e fruttosio. Il termine zucche- ro è utilizzato per indicare, in generale i glucidi o gli idrati di carbonio.E' usato nell'alimentazione e costituisce un a-limento facilmente metabolizzabile apportando circa 17 KJ,cioè 4 Kcal per grammo.
****La prevalenza è una misura di frequenza. E' il rappor- to fra il numero di eventi sanitari rilevati in una popola- zione in un determinato tempo e il numero degli individui della popolazione osservato nello stesso periodo.
La prevalenza è uguale a:
numero di eventi sanitari osservati nel periodo
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persone a rischio nello stesso periodo.
Conoscere la prevalenza di una malattia consente di comprendere il suo impatto sulla salute pubblica,di piani- ficare le risorse in base alla prevalenza attesa e pro- grammarle in base alla sua variazione temporale.
L'incidenza misura quanti nuovi casi di una data malattia compaiono in un determinato lasso di tempo, il suo fine ultimo è quello di stimare la probabilità di una persona di ammalarsi di una determinata malattia.
.QUALE E' IL TARGET PRESSORIO NEL PAZIENTE CON DIABETE MELLITO
.QUALE E' IL TARGET DELLA COLESTEROLEMIA NEL PAZIENTE CON DIABETE MELLITO.
.UTILITA' DELL ATTIVITA' FISICA NEL PAZIENTE CON DIABTE MELLITO